POVZETEK | ESTRATTO
«... oltre che trovarmi a casa qui sulla frontiera mi trovo perfettamente a casa sia a Milano che a Ljubljana, nel senso che la gente ed il contesto complessivamente non mi sono né lontani né stranieri ed interagisco con entrambi, senza handicap di sorta, poiché i dettagli linguistico-culturali nonché le specificità sociali ed antropologiche, che lì la storia ha prodotto, li vivo e li uso come propri dal momento che ormai mi appartengono come io appartengo ad entrambi».
«... poleg tega, da sem doma tu na meji, se počutim doma tudi v Milanu in v Ljubljani, saj mi ljudje in kontekst nista ne tuja ne oddaljena in imam odnose z obema, brez težav; jezikovno-kulturne detajle in družbene in antropološke posebnosti, ki jih je zgodovina tam ustvarila, doživljam in uporabljam, ker mi pripadajo, kot jaz pripadam njim».
ARTICOLO ESTRATTO DA "L'UNITÀ"
La scomparsa dell’identità: ecco il rischio che minaccia questa minoranza. Un libro ne racconta cinque secoli di storia e di arte.
Scrive Darko Bratina, sloveno, docente di sociologia all’italiana Università di Trieste: «··· oltre che trovarmi a casa qui sulla frontiera mi trovo perfettamente a casa sia a Milano che a Ljubljana, nel senso che la gente ed il contesto complessivamente non mi sono né lontani né stranieri ed interagisco con entrambi, senza handicap di sorta, poiché i dettagli linguistico-culturali nonché le specificità sociali ed antropologiche, che lì la storia ha prodotto, li vivo e li uso come propri dal momento che ormai mi appartengono come io appartengo ad entrambi».
Scriveva Ruggero Fausto Timeus, «interprete (ed ideologo) della borghesia Italiana Irredentista» nel 1914: «Da noi lo slavo o il tedesco vive talvolta nella nostra stessa casa e può essere un bimbo che vi ossequia, vi sorride e accarezza i vostri bimbi. Può sapere ognuno che quello lì è un nemico che si deve odiare e combattere senza quartiere?».
Tra il sociologo degli anni Ottanta e il «patriota» d’inizio secolo c’è un abisso che il dato temporale e storico dei settant’anni trascorsi non vale a decifrare fino in fondo. Tanto che lo Stato italiano sembra più condizionato dalla pesantissima eredità di Timeus (che vent’anni di fascismo fecero propria e operante) che dallo spirito attuale della serena testimonianza di Bratina, se è vero che la legge di tutela della minoranza slovena giace ancora nei cassetti del governo, né si sa quando potrà uscirne. Nel frattempo però i cittadini italiani di nazionalità slovena e i democratici dei confini nord-orientali non stanno con le mani in mano.
All’azione politicamente organizzata., affiancano oggi la vivacità della loro presenza culturale. Il nemico non è più Timeus (anche se, in particolare a Trieste, sciovinismo e nazionalismo sono tutt’altro che scomparsi); il nemico più insinuante e pericoloso si chiama assimilazione, o omogeneizzazione, scomparsa silenziosa di caratteri linguistico-culturali, annegamento d’identità. E l’atteggiamento degli sloveni, come si deduce dalle parole di Bratina, non è di chiusura, di orgoglio ferito. Tende alla contestualità culturale, volge in positivo le linee di frontiera, considerandole risorsa, e non divisione. Così nasce un libro che finalmente varca l’Isonzo e viene presentato a Roma, oltre che dallo stesso Bratina, da Rinaldo Rizzi, che dirige la rivista editrice (il territorio). dall’on. Castiglione, vicepresidente del deputati socialisti, dal sen. Chiarante responsabile culturale del Pcl, dal prof. Tullio De Mauro, dal sen. Pasquino, da mons. Aldo Moretti, che è anche medaglia d’oro al valor militare e vicepresidente dell’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione.
Il volume (Presenza e cultura slovena nella società regionale) è un compendio in cui si ritrova la produzione culturale slovena fin dalla letteratura del Cinquecento, approdando al secolo nostro attraverso esperienze – nel teatro, musica, poesia, pittura, cinema – che costituiscono un capitolo d’Europa. Vi s’intrecciano influenze mitteleuropee -Praga, Vienna, Budapest, Monaco – Italiane, russe, scuole di pensiero cattoliche e marxiste. Un mosaico raccolto senza troppa organicità, ma proprio per questo sorprendente e rivelatore di una presenza costante e inquieta, fertile e diffusa. Basti pensare a percorsi come quello di Augusto Cernigoj, scomparso recentemente, che in gioventù si reca a Monaco di Baviera per frequentare l’Accademia come tanti triestini avevano fatto prima di lui, e s’imbatte invece nel Bauhaus di Gropius e Kandinskj, e poi torna a Trieste e vi fonda il Gruppo Costruttivista; o al fascino seduttivo che il futurismo esercita su Srečko Kosovel, poeta del Carso scabro e frantumato; o all’architetto Plečnik bene addentro al movimento della Secessione e braccio destro di Otto Wagner; e ancora Gorizia e le sue «inquietanti solitudini»; e le Valli del Natisone, Italiane da 120 anni, ma dove lo Stato italiano parla ancora di «slavi ma non sloveni», di «dialetto ma non lingua».
Le citazioni fatte penalizzano il libro, che conta trecento pagine e decine di biografie e rilevamenti storico-culturali. Ma il volume comprende anche interventi sulla contesa oggi in corso di svolgimento per il riconoscimento e la tutela della minoranza: che non dovrà essere imbalsamazione di un reperto etnico-storico ma quadro e stimolo di sviluppo, di interazione con la maggioranza italiana, di superamento dell’esclusività linguistica e nazionale. Un braccio di ferro politico di altissima cifra «esistenziale», che tocca nel profondo i destini individuali.
È di particolare interesse il sapore inedito della testimonianza di un intellettuale sloveno delle ultime generazioni, Ivan Verč. «La mia visione del concetto di confine in queste terre non è per niente ‘storicamente documentata’, né mi interessa che lo sia…»; e sottopone a critica serrata il concetto di «ponte», usato e abusato, anche da sinistra, e anche in questi ultimi anni: «considero questo concetto fortemente riduttivo e ingiusto, in quanto non tiene nel minimo conto né la possibilità di un’autonoma rielaborazione dell’informazione culturale che si trova a uno degli estremi del ‘ponte’, né tanto meno la possibilità che questo ‘ponte’ sia esso stesso soggetto culturale, in cui le cose non solo ‘passano’, ma anche e soprattutto ‘nascono’ e si sviluppano per conto proprio. Infatti, secondo questo criterio, gli sloveni In Italia dovrebbero essere una specie di nastro di trasmissione….».
Il rischio esiste, soprattutto se lo Stato Italiano da interlocutore-avversario si trasforma in nulla più che freddo entomologo, anziché in garante rispettoso e autenticamente curioso e partecipe. Ma c’è un «salto» da compiere anche all’interno della minoranza. «La libertà – conclude Verč – non si misura da ciò che gli altri ti permettono di fare… dipende per buona parte dalla nostra capacità di liberarci dai miti e dai dogmi (politici, culturali, nazionali) che per troppi decenni hanno pesantemente condizionato la nostra esistenza, fino a farci apparire più piccoli, insignificanti, dipendenti e perciò vulnerabili di quanto in realtà siamo. E il confine, a questo punto, ci sembrerà un fatto del tutto marginale, perché il futuro conosce solo due possibilità: o barriere insormontabili, o superamenti degli steccati a tutti i livelli… Voglio credere nella seconda possibilità. Anche perché non c’è alternativa».
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Gianni Marsilli