Vizije | Visioni

Una giornata in Slovenia tra ingenuità e grandi certezze

Dan v Sloveniji med naivnostmi in velikimi gotovostmi

Trieste 05 . 07 . 1991

POVZETEK | ESTRATTO

ita

Con Elvio Ruffino segretario regionale del Friuli, i segretari di Trieste e di Gorizia e Darko Bratina. entriamo in territorio sloveno per una missione politica che ci porterà prima a Nova Gorica per incontrare i dirigenti del Partito del rinnovamento democratico e poi a Capodistria per parlare con il sindaco e con i rappresentanti della comunità italiana.

slo

Z Elviom Ruffinom, deželnim tajnikom za Furlanijo, tržaškim in goriškim tajnikom in Darkom Bratino stopimo na slovensko ozemlje za politično misijo, ki nas bo najprej vodila v Novo Gorico na srečanje z vodilnimi osebami Stranke demokratične prenove in nato v Koper na pogovor z županom in s predstavniki italijanske skupnosti.

ARTICOLO ESTRATTO DA "L'UNITÀ"

Paura del domani e richieste di aiuto. Ma soprattutto una grande certezza: «Se esiste uno Stato come il Lussemburgo, perché non possiamo esistere anche noi?»

Posto di frontiera di Casa Rossa, Gorizia, le 8.30 di mercoledì 2 luglio. Il valico è deserto. Nessuna auto sta entrando in Italia. La nostra è l’unica che va in Jugoslavia. Con Elvio Ruffino segretario regionale del Friuli, i segretari di Trieste e di Gorizia e Darko Bratina, entriamo in territorio sloveno per una missione politica che ci porterà prima a Nuova Gorica per incontrare i dirigenti del Partito del rinnovamento democratico e poi a Capodistria per parlare con Il sindaco e con i rappresentanti della comunità italiana.

Il militare della Guardia territoriale slovena – kalashnikov in mano – ci saluta sorridente. Più in là carri armati dell’Armata federale, ormai inerti, sfasciati dai colpi di bazooka, bruciacchiati e anneriti dalle fiamme. Sono il segno tangibile della battaglia che ha lasciato sul terreno 6 morti e 40 feriti.

È l’immagine che gli sloveni controllano quasi tutti i valichi. I distaccamenti dell’Armata sono, invece, l’immagine dell’umiliazione: impotenti, controllati a vista dai «territoriali», circondati dall’ostilità della popolazione. Queste immagini spiegano assai di più di qualsiasi analisi politica il proclama minaccioso del generale Adjic. Le telescriventi di tutto il mondo – ma non quelle slovene (particolare su cui riflettere) – hanno parlato di «colpo di staio» ed è probabile che a Belgrado qualcuno – Milosevic? altri? – abbia pensato di utilizzare l’orgoglio ferito dell’Armata, per mettere in discussione il difficile accordo sottoscritto poche ore prima,­ grazie alla mediazione Cee.

Ma a muovere il generale Adjic, prima che la politica, è stata l’umiliazione subita: insomma è staio il «colpo di coda» di chi si sente ferito nel proprio orgoglio di soldato.
È la dimostrazione della profonda incapacità di Belgrado, ma anche di buona parte della comunità internazionale, di comprendere quanto sia ormai radicata in profondità l’aspirazione all’indipendenza in Slovenia e in Croazia.
È il punto da cui parte Ciril Ribičič il presidente del Partito del rinnovamento democratico sloveno (Sdp), il partito di sinistra – sorto sulle ceneri della Lega dei comunisti sloveni – che ha raccolto alle elezioni il 16% ed è il partito più consistente della Slovenia.
L’incontro con Ribičič avviene a Nova Gorica, in quella che fino a qualche anno fa era la sede della Lega dei comunisti e delle organizzazioni di massa (pionieri, gioventù, donne … ) e che oggi potrebbe essere definita una «casa della democrazia»” ai diversi piani sono ospitati i partiti che sono venuti formandosi, c’è un via vai discreto di gente: dirigenti e militanti di organizzazioni diverse, ma m queste ore legati da quella solidarietà che scatta quando sono in gioco destini e ideali comuni.

«Tutto si può discutere – mi dice Ribičič – ma non torneremo indietro dalla proclamazione dell’indipendenza. C’è stato un referendum in cui Il 95% della nostra gente ha detto che la vuole…»

Ciril Ribičič, presidente del Partito democratico sloveno

E la «cosa» che li tiene insieme – la Slovenia indipendente e sovrana – è davvero forte. «Tutto si può discutere – mi dice Ribičič – ma non torneremo indietro dalla proclamazione dell’indipendenza. C’è stato un referendum in cui Il 95% della nostra gente ha detto che la vuole. C’è una storia, una cultura che non può essere cancellata. Non c’è più Tito: e non c’è più il mondo in cui Tito ha potuto costruire il miracolo di una Jugoslavia che, prima di lui, non è mai stata unita. L’Europa deve capire; e deve capire la sinistra in Europa». Gli dico che certo, «quella» Jugoslavia non c’è più e sarebbe antistorico voler tenere in vita un corpo ormai senza anima. La questione non è certo rimpiangere un assetto ormai in dissoluzione. Il problema è quale nuovo assetto sostituisce il vecchio. Il puzzle jugoslavo è un intreccio inestricabile di entità e minoranze nazionali, linguistiche, religiose: l’eccezione è propio la Slovenia, dove la popolazione non slovena non supera il 3-4%. Ma nelle altre Repubbliche – in Bosnia, in Croazia, in Macedonia, nel Kossovo, in Voivodina – le cose sono assai più complicate. «È necessario – dico, spiegando la posizione del Pds – pensare ad un assetto nuovo che parta senza dubbio dal riconoscimento politico della sovranità di ogni Repubblica e che, al tempo stesso, consenta un patto tra le Repubbliche per gestire insieme alcuni temi di interesse comune». «Sì – risponde Ribičič – é una posizione seria e d’altra parte anche noi l’abbiamo sostenuta. Ma un patto non può che essere tra soggetti sovrani. Quanto prima si riconoscerà la legittimità dell’indipendenza, tanto più facile sarà costruire anche nuovi legami tra le Repubbliche. Se invece ci si vuole obbligare a stare insieme in ogni caso e a qualsiasi condizione, allora il conflitto non si risolverà. E se si va alla guerra crescerà un muro insormontabile di diffidenza, di odio».

«Il tempo – insiste Ribičič – in politica conta: un anno fa sarebbe stato relativamente semplice tenere insieme indipendenza e confederazione. E noi avevamo sostenuto una proposta che ancora oggi è valida: la «Confederazione asimmetrica», che avrebbe consentito alla Serbia di mantenere un legame privilegiato con Montenegro, Voivodina e Kossovo e, al tempo stesso, avrebbe consentilo a Croazia e Slovenia un grado di sovranità più ampio. Ma questa proposta non è mai stata accettata da Belgrado. Oggi tutto è più difficile, tardare ancora è pericolosissimo: domani tutto potrebbe essere impossibile. L’Europa ci deve aiutare: per questo chiediamo il riconoscimento della nostra sovranità».

«se c’è il Lussemburgo – mi dice, ironico – perché non ci può essere la Slovenia?»

Serghei Palham, ex sindaco di Nova Gorica

Questo – sovranità e riconoscimento internazionale – è il leitmotiv che ci verrà ripetuto in tutto il viaggio. Ce lo ripete il sindaco di Nova Gorica, Serghei Palham («se c’è il Lussemburgo – mi dice, ironico – perché non ci può essere la Slovenia?». Certo, penso tra di me, è ingenuità: ma dice quanto la gente creda in questa sua scelta).
Me lo ripete, Aurelio Juri deputato al Parlamento sloveno e sindaco di Capodistria, mentre Radio Lubiana ripete in continuazione la notizia che l’Armata ha iniziato a ritirarsi. Juri ci riceve in municipio, vigilato da un territoriale armato. Dice con sincerità: «Ci sono spinte estremistiche e nazionalistiche in Slovenia che preoccupano anche me. E i nostri dirigenti hanno commesso errori che hanno reso tutto più difficile; ma proprio per questo adesso è necessario portare a compimento l’indipendenza; altrimenti il nazionalismo dilagherà. E allora addio a qualsiasi ipotesi di accordo con le altre Repubbliche. Oggi si può ancora realizzare l’indipendenza nella sicurezza comune e nel dialogo, domani non c’è tempo».

Già che succederà domani? Dice Giorgio Tremul, un giovane che guida la associazione degli italiani di Slovenia e Croazia: «sì l’indipendenza va bene anche a noi; ma se questo ci consente di tutelare meglio i diritti dei cittadini di lingua italiana: chi oggi abita in Croazia e lavora in Slovenia potrà ancora spostarsi liberamente da una Repubblica all’altra? Ci sarà garantita uniformità di trattamenti? E gli accordi di Osimo verranno rispettati? Nessuno qui vuole che si rimettano in discussione i confini. Anzi – mi dice – bisogna fare capire in Italia che qualsiasi forma di irredentismo o revanscismo territoriale ci mette in enormi difficoltà, perché alimenta sospetto e diffidenza verso di noi. Dall’Italia, in queste ore, vorremmo solidarietà».

«Qui noi – mi dice – abbiamo costruito qualcosa di profondo. La frontiera in questi anni quasi non c’era. Ma non è stato sempre così: alle spalle abbiamo anche anni di sofferenza, di paura, di incomprensioni…»

Antonio Scarano, ex sindaco di Gorizia

Solidarietà: la stessa parola su cui insiste il sindaco di Gorizia Antonio Scarano. «Qui noi – mi dice – abbiamo costruito qualcosa di profondo. La frontiera in questi anni quasi non c’era. Ma non è stato sempre così: alle spalle abbiamo anche anni di sofferenza, di paura, di incomprensioni. Le abbiamo superate perché abbiamo avuto – noi e loro – il coraggio di scommettere sulla solidarietà. Ed è la risorsa a cui abbiamo attinto in questi giorni. Senza solidarietà è difficile costruire un mondo nuovo».

Già un mondo nuovo. Tutti lo vogliono. Ma forse non abbiamo fatto tutti i conti. La crisi Jugoslava ci mette brutalmente sotto gli occhi: é possibile costruirlo sulla intangibilità dei vecchio? È possibile costruire un mondo nuovo senza chiedersi cosa significhi dover assumere oggi concetti come autodeterminazione, sovranità, indipendenza?

Piero Fassino

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